“Per sempre”, parole in cui è sempre più difficile credere. Forse non molti conoscono questo film di uno dei più famosi registi del mondo. E’ un film che amo particolarmente perché rientra in quella categoria di film romantici che non scadono mai nella banalità. I personaggi sono eccezionali, i dialoghi ben riusciti, l’umorismo è raffinato, il soggetto è stravagante ma allo stesso tempo reso molto interessante grazie ad una regia il cui valore è fuori da ogni dubbio.
Si tratta di un remake di un film degli anni ’40 che raccontava la fantastica storia di un pilota della seconda guerra mondiale. Qui invece l’azione si sposta ai nostri giorni, o meglio alla fine degli anni ottanta, e la guerra da combattere è quella contro il fuoco. Uno dei personaggi stessi dice che non si fanno mai film sui pompieri del cielo che spengono gli incendi ma solo sui piloti di guerra. Spilberg gioca insomma con il soggetto del film di cui gira il remake. Lo stesso protagonista, Pete, che trasmette il suo talento al giovane promettente, Ted, sembra quasi un omaggio ai grandi cineasti del passato che ispirano i registi del presente.
Si tratta di una favola sull’amore e sulla morte. La definisco drammatica in quanto nonostante il tono generale ciò a cui assistiamo è una grande perdita, quella del vero amore. Non si tratta di una relazione qualsiasi ma di quella giusta, quella che la gente insegue per tutta la vita e pochi trovano. Questa è la vera ricchezza e la possiedono i due protagonisti Pete e Dorinda, la cosa più preziosa al mondo ha una fine però per l’inevitabile forza del destino, che qui gioca un ruolo fondamentale. Non è il soggetto fantasioso a renderci consapevoli di trovarci in una favola ma è proprio il ruolo che gioca il fato. Era destino che le cose dovessero andare così. Spielberg lo suggerisce fin dall’inizio.
Ma che senso ha aver trovato il vero amore per poi perderlo? Forse è questa la domanda a cui il film cerca di rispondere fin dall’inizio. E’ piuttosto difficile dire che ci sia riuscito. Quel che traspare è però l’idea che vale la pena averlo provato, anche per qualche istante, per poi perderlo piuttosto che vivere per sempre senza averlo mai vissuto. L’amore sopravvive alla morte e continua a parlarci e influenzarci per tutta la vita, guidandoci verso ciò che il destino ha scelto per noi.
La cosa più difficile per noi oggi, come allora, è riuscire a credere che il vero amore esista. Non è un’ideale? Una favola che ci hanno sempre raccontato i libri e la televisione ma che nella realtà non si trova mai? Di questi tempi è proprio dura crederci ancora ma forse il film invita a farci riflettere proprio su questo: vale la pena vivere una vita con la certezza di non trovare mai la persona giusta? Oppure è meglio seguire i propri ideali, le proprie passioni, le proprie illusioni pur di riuscire a provare il vero amore anche per brevi istanti?
A parte il significato semplice, toccante e allo stesso tempo profondo del film si può fare un elogio di alcune cose: eccezionale è l’utilizzo della luce, i fari della pista di atterraggio nella notte danno all’aereo del protagonista un’aura mistica che ci ricorda il leggendario “Incontri ravvicinati del terzo tipo”, un’aura che però è un presagio di morte e che torna alla mente a Dorinda nel momento in cui la luce del frigorifero dello stesso blu freddo risplende sul viso di Pete. Altro accorgimento molto interessante è il modo in cui Pete viene illuminato quando alla fine parla alle spalle di Dorinda. Lei non può più vederlo perché lui non appartiene più al mondo dei vivi. I toni della luce su di lui sono blu, un rimando a quelli dell’aereo e del frigorifero, mentre su di lei la luce è calda e i colori risplendenti. La fotografia in generale è solare e in certi punti leggermente offuscata quasi come se ci trovassimo in un sogno, in una favola appunto. Una tonalità che ricorda quella di “Hook”.
Quando Pete è invisibile a tutti non lo vediamo mai passare attraverso gli oggetti, Spielberg evita accuratamente gli stereotipi sulle caratteristiche evanescenti del corpo etereo con semplici accorgimenti, anche piuttosto ironici e autocompiacenti. Un autocompiacimento e un’ironia che troviamo anche nella scena del ballo quando Pete dice: “in questo momento Lui nel film farebbe un cenno all’orchestra e questa inizierebbe a suonare la loro canzone” e così accade. La canzone è la famosissima “Smoke gets in your eyes”, già usata dall’amico Lucas in “American Graffiti”, film nostalgico sulla fine di un’epoca. Lo stesso Richard Dreyfuss, l’attore che interpreta Pete, non era il protagonista in quel film?
Tutto ha un sapore romantico da vecchio cinema, da vecchie illusioni, e Dorinda non a caso dice nel film “sei vecchio e fuori moda proprio come il tuo aeroplano”. Il film insomma è un’omaggio al vero amore ma anche al vecchio cinema e al sentimento che in esso veniva narrato. Una riminiscenza infantile e cinematografica tipicamente spilberghiana, non a caso anche qui, in queste tematiche così apparentemente adulte, fanno una breve comparsa anche i bambini o l’imitazione di John Wayne, eroe western d’altri tempi, rimasto per sempre impresso nella mente del bambino cresciuto Ted. E che dire del volo e degli aeroplani? Altre riminiscenze infantili tipiche di Spielberg. In poche parole è meglio essere degli inguaribili romantici, è così che ci si sente veramente vivi, nel bene come nel male.