“Edge of Tomorrow” ovvero il giorno più lungo della marmotta…

Pubblicato: 5 febbraio 2015 da siegfriedkracauer in alieni, Azione, Fantascienza
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groundhog war

Nel 1993 l’attore e regista Harold Ramis, che tutti conoscono per aver interpretato il personaggio di Egon Spengler in Ghostbusters (1984), realizzò un film molto curioso e più profondo di quanto potesse apparire ad un primo sguardo. Il titolo originale era Groundhog Day, ossia “Il giorno della marmotta”, e raccontava di come un giornalista televisivo fosse intrappolato in un circolo temporale infinito che lo condannava a ricominciare da capo sempre lo stesso giorno. Lui era l’unico ad essere consapevole della ripetizione, tutti gli altri vivevano la giornata come se fosse la prima volta. Il giorno in questione, il 2 febbraio, è detto “della marmotta” perché osservando il comportamento di una marmotta si ritiene di poter prevedere la durata dell’inverno. Sembra impossibile che lo scrittore giapponese Hiroshi Sakurazaka non avesse in mente questo film durante la stesura di “All You Need Is Kill”, un romanzo a fumetti di fantascienza da cui è stato tratto il film di cui mi appresto a parlare: Edge of Tomorrow di Doug Liman (2014).

Si tratta di un film di puro intrattenimento. Non pretende di essere niente di più che un coinvolgente film d’azione basato su una buona idea di fantasia. Non si tratta nemmeno di un film originale dal punto di vista formale. Il regista non sembra contribuire molto, è più che altro abile ad avere in testa la complessa struttura del racconto, basato dal punto di vista drammatico e umoristico sulla ripetizione di poche scene, che ad essere sinceri non sono nemmeno così poche, e curiosamente condito dall’assenza-presenza di numerosi fatti e conversazioni argutamente suggeriti dalle battute e dal montaggio. Il grande lavoro è tutto dei produttori, del montatore e degli sceneggiatori che hanno radunato i mezzi necessari, scritto una storia e messo su uno spettacolo divertente. Un film che riesce a non precipitare nella cavolata imbarazzante, non costringe a lavorare troppo di fantasia per rendere sensato ciò che avviene sullo schermo, ed è privo di personaggi puramente comici, che in questo periodo magro del cinema commerciale non è poco. Inoltre grazie alla sua idea di base riesce a rendere credibile la pericolosità in cui si muovono i protagonisti. Le possibilità di morire sul campo di battaglia sono molto alte, anche per i nostri eroi. Un’idea che si perde un po’ troppo nella fase finale.

Bisogna ammettere che l’impegno produttivo è dovuto anche alla presenza della stella del cinema Tom Cruise, ormai un po’ troppo vecchio per la parte, ma grazie al quale si è potuto rischiare di più a livello economico dato il ruolo da protagonista che ricopre nel film. La bravura di Cruise non c’entra, è una questione di mercato. La sua presenza avrebbe attirato sicuramente un pubblico più vasto e reso più facile la campagna pubblicitaria e di conseguenza reso sensato un investimento maggiore in fase di produzione. Comunque Cruise non se la cava male e questi personaggi semplici probabilmente sono quelli che gli riescono meglio, all’inizio comunque l’attore è alle prese con un tipo di carattere veramente insolito per lui: il codardo, l’imboscato, il ricattatore. E brava la nostra marmotta.

Gran parte delle trovate cinematografiche sono di indubbia derivazione del film di Ramis, anche se non bisogna sottovalutare la vaga presenza nella testa degli sceneggiatori del più recente Source Code di Duncan Jones, il regista di Moon. L’arguta profondità esistenziale del Groundhog Day è invece completamente assente, il cervello si spegne per fare spazio al divertimento. Bisogna però ammettere che il film non corre mai il rischio di essere ridondante nonostante si basi proprio sulla ripetizione, grazie anche all’essere diviso in tre fasi ben distinte, i classici tre atti di un buono scritto che tanto piacciono ai critici. Fasi ben evidenti anche nel film di Ramis e qui altrettanto efficaci.

In Edge of Tomorrow a livello di trovate ammiccanti, di costumi e di scenografia si possono sottolineare alcune rievocazioni “storiche” molto pop, che il pubblico di appassionati di cinema, fumetti, videogiochi e letteratura “pulp” apprezzerà molto. Innanzitutto un sorta di corso e ricorso dello sbarco in Normandia in stile fantascientifico, con indubbi riferimenti estetici a Salvate il soldato Ryan (per non parlare poi de Il giorno più lungo o delle prime puntate della miniserie Band of Brothers), poi la presenza sul campo (con annesso spadone manga!) di una novella Giovanna d’Arco che ha molto il carattere di Trinity, e come non sottolineare l’aspetto degli alieni che sembrano le sentinelle di Matrix e di un esercito che piacerebbe molto a James Cameron? La presenza nel cast di Bill Paxton, colui che pronunciò la famosa frase “Escono dalle fottute pareti!” in Aliens – Scontro finale, sarebbe solo un caso?

A livello di concezione è come se Hiroshi Sakurazaka, e gli sceneggiatori suoi eredi, avessero creato una storia incentrata sull’acquisizione di esperienza in un videogioco senza possibilità di salvataggio. Quei vecchi videogiochi della Nintendo o del Sega Mega Drive dove bisognava imparare a memoria ogni singolo passo, ogni singolo nemico, ogni singolo movimento per riuscire a finire il gioco e non ricominciare tutto da capo e magari riuscire a fare il temuto ultimo livello senza mai farsi colpire; quei giochi dove le nostre dita sembravano muoversi da sole sui tasti e ancora oggi, giocando nostalgicamente, compiono quei movimenti con la stessa celerità.

I difetti del film ci sono. Probabilmente in generale si possono riassumere in una eccessiva americanizzazione hollywoodiana di un’idea estetica e tematica evidentemente propria del fumetto giapponese. Il finale forse non piacerà a tutti ma tutto sommato ci sta.

Divertitevi.

Vivete. Morite. Ripetete.

Senza fine.

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